Ok, è fatta. Dopo prolungati ancorché discontinui sforzi, che hanno accompagnato i miei giorni dall'inizio di quest'anno, ho finalmente terminato la lettura di Infinite JestOk, è fatta. Dopo prolungati ancorché discontinui sforzi, che hanno accompagnato i miei giorni dall'inizio di quest'anno, ho finalmente terminato la lettura di Infinite Jest. Quindi, che ci faccio ora? Davvero voglio scrivere una recensione per un libro su cui si sono spese infinite pubblicazioni accademiche? Che è acclamato come una delle opere fondamentali del Novecento? Beh, dopo aver attraversato più di mille pagine, mi sento quantomeno in diritto di condividere le mie assai incomplete impressioni.

Titolo: Infinite Jest
Autorə: David Foster Wallace
Prima Edizione: Little, Brown and Company
Data di pubblicazione: 1 febbraio 1996
Genere: Romanzo enciclopedico
Pagine: 1079
Autoconclusivo o parte di una serie: Autoconclusivo
Sinossi: In un prossimo futuro che sembra una grottesca parodia del nostro mondo, un'opera di fiction letale - e cioè un film così di intrattenimento da impedire a chi lo vede di fare letteralmente qualsiasi altra cosa - si sta rivelando una concreta minaccia per i superstato nordamericano che porta il nome di O.N.A.N.. Sulle sue tracce, agenti sotto copertura e terroristi in sedia a rotelle. Il suo destino si intreccia con quello di una moltitudine di persone - dalla ricca ma disastrata famiglia Incandenza, le esistenze dei cui membri ruotano interamente attorno alla loro prestigiosa accademia di tennis, alle persone ospitate/rinchiuse in una comunità riabilitativa.
Analisi: Nonostante la molteplicità dei punti di vista che segue, il fatto che flirti con diversi format, e che addirittura incorpori estratti di non-fiction fittizia all'interno del testo, Infinite Jest è scritto in uno stile che complessivamente si presenta con una cera uniformità: e cioè, nella prosa sovrabbondante e determinata nella sua ridondanza di DFW, che descrive ogni aspetto del suo mondo così dettagliatamente da renderlo grottesco - un po' come ripetere all'infinito una parola la svuota del suo significato. L'autore ha un'estenuante attenzione per le minuzie ed una passione per i termini desueti, meglio ancora se usati in un senso non convenzionale né intuitivo (per pare un esempio famigerato, perché mai Hal Incandenza dice di essere diventato "un infantofilo"? Vuol dire di star apprezzando la sua incapacità di parlare? Oppure che è diventato l'epitome di tutto ciò che è socialmente inaccettabile? O ancora è un sintomo del suo decadimento mentale, che infine sta iniziando ad intaccare anche il suo monologo interiore? La giuria si riserva di deliberare).
All'inizio mi era parso che un simile stile fosse estremamente calzante per rappresentare il punto di vista di Hal - e cioè di un genio precoce e disadattato, cresciuto schiacciato dal peso delle aspettative in un ambiente per altri versi molto protetto. Ma, no - lo stesso tono si estende al romanzo quasi nella sua interezza, con piccole variazioni come il fatto che i ceti meno abbienti usano una maggior quantità di epiteti razzisti (e cerco invece di ignorare generosamente gli imbarazzanti tentativi di DFW di scrivere sporadicamente in quella che sembra una parodia del vernacolo afroamericano).
Tale nota stilistica è sintomo di una questione più ampia: e cioè, se non altro per la sua mole, Infinite Jest presents itself not just like a story, but like a Grand Theory Of Everything. Its perspective, however, is highly specific, and likely reflective of the author’s own experience, rather than of the modern world at large. It sounds the most sincere when it explores the utter misery of overly educated suburbian enfant prodiges, it hits and misses when it ventures through different echelons of society, it falls flat when it tries to approach any individual other than white and male. Which is fair, as a deep inquiry on a rather specific experience. But it is not, by far, a Grand Theory of Everything.
La storia è raccontata in ordine diacronico, cominciando dalla fine e sparpagliandosi in ogni direzione. Ogni tentativo di capire cosa stia succedendo è reso per così dire più interessante dal fatto che, in questo universo, i numeri degli anni sono stati rimpiazzati da nomi di prodotti ed aziende (per dire, buona parte dei fatti avvengono nell'anno dei Pannolini per Adulti Depend).
L'opera è anche nota per la sua mole di note finali, alcune della quali munite del loro sotto-apparato di note. Tali annotazioni variano grandemente in lunghezza e rilevanza: alcune sono praticamente dei capitoli, indispensabili per decrittare in qualche modo la trama; altre sono annotazioni minori e trascurabili. In ogni caso, specie data la natura disorganica dell'opera e la pedanteria complessiva della scrittura, avrebbero potuto facilmente essere integrate nel testo principale, per cui la loro esistenza come note deve essere intesa in un altro senso. Magari costringere chi legge ad andare di continuo avanti e indietro vuole evocare le movenze di una partita di tennis. Forse, semplicemente DFW voleva tormentarci più possibile.
Come accennato, il romanzo è ambientato in un prossimo futuro, in cui ogni anno è sovvenzionato da un'azienda che vi conferisce anche il nome, e in cui il Nord America è unificato in una singola entità vagamente distopica. Nonostante tali elementi di worldbuilding, tuttavia, il romanzo appare apatetico dal punto di vista politico; l'assurdità del suo panorama istituzionale punta il dito verso una più complessiva insensatezza universale più che apportare degli elementi di critica specifica al sistema. Una parte consistente della trama riguarda le attività di un gruppo di secessionisti del Québec, ed in effetti alcuni personaggi vivono con passione le loro convinzioni ideologiche, tuttavia ciò non ci spinge a riflettere sui possibili meriti del separatismo o di qualsivoglia altra causa; più che altro, viene da chiedersi se il fervore ideale in questione non sia assimilabile invece alle molte altre forme di dipendenza che sono raffigurate nel romanzo.
La dipendenza da sostanza, infatti, è uno dei temi principali del romanzo, in stretta connessione con il tema dell'intrattenimento. Infinite Jest descrive gli effetti distruttivi di ogni tipo di vizio ed eccesso, e sembra dare ad intendere che non solo l'eponimo e letale film di cui sopra, ma ogni forma di intrattenimento è nella sua essenza qualcosa di tossico e pericoloso, che ci distrae dallo sperimentare pienamente la realtà. In tal senso, il romanzo ha un sottotono sorprendentemente moralistico, suonando quasi savonarolesco nella sua condanna di ogni sorta di escapismo. Diversamente dalla maggior parte delle prediche moraliste, che promettono il paradiso o quantomeno una vita di sobrie e salubri soddisfazioni, DFW non offre però alcuna ricompensa per il suo appello alla sobrietà mentale e fisica: il mondo che descrive è infatti profondamente sconfortante, i suoi personaggi sono intrappolati in varie forme di esistenze oppressive, e non si legge alcuna speranza che abbandonare la marijuana e le soap opera permetterà loro di liberarsi, né peraltro di comunicare genuinamente gli uni con gli altri. Infinite Jest sembra invocare uno sforzo portentoso, ma tale sforzo in definitiva suona vano.
Conclusione: Onestamente non so dire se quest'opera sia dotata di una qualità sublime accessibile solo agli intelletti più eccelsi, o se sia un ammasso di caos pretenzioso con dentro sepolto l'occasionale sprazzo di genio - ma comunque capace di guadagnarsi un devoto seguito grazie alla fallacia del costo irrecuperabile (dato l'impegno che richiede, chi vuole poi ammettere non ne sia valsa la pena?), oltre che per il fatto che ammirarla sembrerebbe denotare un gusto sopraffino, non diversamente dal saper apprezzare le magnifiche vesti dell'imperatore. In ogni caso, questo libro contiene molto di più di quando non si possa condensare in un post. Io, però, non intendo dedicarci altro tempo.
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